I leader dovrebbero sempre privilegiare la competenza dei loro stretti collaboratori rispetto alla lealtà e accettare da loro la verità, anche se a volte è difficile da ascoltare, insieme alla comunicazione di informazioni rilevanti. I leader devono ascoltare l’intelligenza collettiva di coloro che li circondano, mettere gli argomenti in prospettiva e valorizzare l’opinione e il dibattito degli esperti, soprattutto in una situazione di gestione della crisi. Vivere in una bolla e praticare il nepotismo può essere rassicurante, ma non ha mai fatto prosperare un’azienda o accrescere il prestigio di un Paese.
I grandi leader hanno tutti una cosa in comune: possiedono un alto grado di intelligenza emotiva, ovvero la capacità di riconoscere, comprendere e controllare le proprie emozioni e di modellare quelle degli altri. In altre parole, non si isolano, sono in grado di mettere le cose in prospettiva e di stabilire le priorità, praticano l’ascolto attivo e agiscono di conseguenza. Non si ritirano in un mondo irreale, comodo o di fantasia, ma si sforzano di essere costantemente in sintonia con la realtà delle sfide, dei colleghi e dei consulenti. Ciò che caratterizza i leader è la loro “logica d’azione” interna, come definita da David Rooke e William Torbert (Harvard Business Review, aprile 2005), che classificano i leader in sette categorie: opportunisti, diplomatici, esperti, realizzatori, individualisti, strateghi e alchimisti. Lo stratega e l’alchimista, che rappresentano una minoranza di leader, sono attori positivi e i più capaci di gestire il cambiamento, definire visioni condivise e operare in modo iterativo e costruttivo. Dotati di alti valori morali, sono idealisti, pragmatici e in grado di gestire numerose attività in parallelo. Spesso carismatici, hanno un’eccezionale capacità di abbracciare la complessità delle situazioni e una capacità di analisi, autovalutazione e valutazione degli altri superiore alla media. Tra i leader di questo tipo figurano Nelson Mandela, Barack Obama, Jacques Delors, Frank Maguire e Jack Welch. Favoriscono la meritocrazia e diffidano dei cortigiani e degli yes-men.
I grandi leader hanno tutti una cosa in comune: possiedono un alto grado di intelligenza emotiva, ovvero la capacità di riconoscere, comprendere e controllare le proprie emozioni e di modellare quelle degli altri.
Nella gestione di una crisi, un leader deve dimostrare compostezza, buon senso, moderazione, capacità di analisi, agilità, coraggio, pensiero critico e capacità decisionale. Perché? Perché una crisi è particolarmente caratterizzata dall’accelerazione e dalla compressione dei tempi, dalla drammatizzazione dei problemi, dall’emergere di nuovi attori e dall’aumento dell’incertezza.
Un recente articolo del Financial Times (“How Putin blundered into Ukraine – then doubled down”), pubblicato un anno dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, mostra come il presidente russo – preoccupato soprattutto di riportare il suo Paese al vecchio sogno arretrato dell’Impero zarista – si sia affidato soprattutto a un ristretto entourage di consiglieri fedeli, compiacenti e ultranazionalisti. Si è consultato poco con colleghi competenti e ben informati che hanno messo in discussione i suoi ragionamenti. Eppure, come ha dimostrato chiaramente il sociologo Vilfredo Pareto, qualsiasi società dinamica deve incoraggiare la circolazione e il rinnovamento delle sue élite, altrimenti si paralizza e si condanna alla decadenza. L’ossessione per la segretezza e la cospirazione, il pensiero chiuso, l’isolamento del potere, la propaganda, il vittimismo attraverso l’effetto specchio (incolpare gli altri per le proprie azioni) e la paranoia: sono queste le caratteristiche del leader del Cremlino con cui i leader occidentali – in primis Joe Biden – devono fare i conti se si vogliono tenere colloqui di pace in un futuro non troppo lontano. Di fronte a un regime che ha fatto della menzogna e del terrore una dottrina di Stato, ciò richiede fermezza e determinazione e, soprattutto, la volontà di affidarsi alla competenza, alla professionalità e alla conoscenza.
L’efficacia di una leadership responsabile si misura dalle prove che affronta, basate sulla negoziazione, sul compromesso e sulla pace, piuttosto che sul caos, sulla distruzione e sulla guerra. Ci troviamo ancora una volta in un momento storico cruciale, uno “shock di civiltà”, per usare la frase del professore americano Samuel Huntington (che risale al 1996!), e dobbiamo fare tutto il possibile per salvaguardare i nostri valori universali di libertà, democrazia e Stato di diritto.
I leader privilegiano la competenza rispetto alla lealtà? Allora leggete “Siamo tutti dei leader!” di Jérôme Koechlin.